Dal 9 al 14 aprile 2019
Laboratorio Permanente della Performance, La Pelanda – Mattatoio Roma
I nontantoprecisi hanno guidato il percorso La Scena Presente, uno dei workshop pilota del Laboratorio Permanente della Performance negli spazi de La Pelanda – Mattatoio, un percorso di alta formazione sui diversi linguaggi della performance – teatro, danza, musica e arti visive. Il progetto è organizzato dall’Azienda Speciale Palaexpo che gestisce il Palazzo delle Esposizioni, il Macro – Museo d’arte contemporanea e il Mattatoio di Roma.
La Scena Presente è stato un laboratorio strutturato attraverso esercizi e azioni fisiche creativi che emergono come risposta a indicazioni di lavoro suggerite dal conduttore.
Qual è lo spazio della scena? Quale tempo svolge lo sviluppo dell’azione? Qual è il corpo che agisce dandosi a vedere?
Sono solo tre delle innumerevoli coordinate che delineano l’evento teatrale ma che possono consentirne una sintesi che dia conto dell’accadere scenico.
Quel che accade quando c’è scena, il movimento di questo accadere, il lavoro fisico dell’attore che lo incarna, orientano la nostra ricerca e sperimentazione in ambito teatrale.
Per quanto possa essere progettata e programmata, la scena non è in un piano di previsione che indica spazi geometrici, stabilisce durate e minuti, prescrive movimenti del corpo; non può essere fissata nella sequenza di atti, figure e immagini prestabilite. Al contrario, essa si manifesta nella cura e attenzione molecolare a tutto quanto il vivo lavoro propone. La sua natura effimera e transitoria non risiede nella ripetizione facile di azioni meccaniche e prescritte, non consente riproduzione di gesti, non attiene alla replica della rappresentazione.
La scena teatrale risponde alla lenta e capillare opera di trasformazione di tutto quello che l’abitudine alla vita ci sottrae, rischiando di farcelo perdere. È la concretezza degli elementi che ci costituiscono e nei quali siamo fermi: la loro forza evocatrice e rivoluzionaria che occorre richiamare rimettendoci in movimento e sottraendoci così alla luce accecante della quotidianità, che ci appare priva di luoghi, immutabile nel tempo che scorre, povera di suoni e parole inconsuete, arida di umori avvolgenti e fecondi.
Lavoriamo la scena agendo in primo luogo su noi stessi, sperimentando il rapporto con le cose, tenendo lo spazio e frequentando il tempo lontano dalla loro misura, lasciando a quel che accade la dimensione del corpo e del nostro agire.
Il movimento risulta dalla risposta collettiva del gruppo a indicazioni di lavoro elementari che propongono modalità di articolazione critica e autonoma degli elementi fisici della scena. È una ricerca sulla natura dello spazio e del tempo, sull’esperienza corporea della presenza. Un laboratorio sulla partecipazione e la costruzione del sentimento comune, sulla relazione col mondo.
Frequentiamo questi elementi fisici nella comune ricerca di comunicazione, lasciando che il pensiero emerga dalla loro partitura. Si configura un dialogo di gruppo visuale dove anche la parola, lavorata nella sua matrice corporea, è artefice di una spazialità e temporalità collettiva.
Il lavoro, condotto direttamente in scena, trova il suo sviluppo componendo ragioni, necessità e scelte del gruppo. Il caso non è presente nella sua dimensione di gratuità; la gestualità non è mai arbitraria ma si dà sempre come apertura del gruppo sull’opportunità di articolare una risposta differente alla sollecitazione ricevuta.
L’azione che cerchiamo è quella che muove all’uso della vita, dove lo spazio, il tempo, il corpo non sono ancora dati e un attimo dopo sono già diversi da quanto siano mai stati prima e il passaggio, il movimento e quel che siamo è stato lì sotto gli occhi di tutti.